Intervista a Luca Belloni, vincitore SUSI 2018

Luca Belloni, vincitore del Programma SUSI 2018 (Study of the U.S. Institute for European Student Leaders) in Environmental Issues offre una appassionata e dettagliata panoramica delle cinque settimane passate nella città di Eugene, presso la University of Oregon. L’appassionata testimonianza di Luca, è un incitamento a partecipare al prossimo bando ed approfittare di una tale opportunità di crescita. Complimenti Luca e in bocca al lupo per i tuoi futuri progetti!

Luca dove sei stato?

Il programma si è tenuto a Eugene, una città immersa nel verde che vista dall’alto appariva come una foresta. Lì l’Università dell’Oregon aveva il proprio campus: era così grande che mi sono perso più volte tra edifici storici, biblioteche, palestre, prati e viali alberati.

Non credo che sia un caso che il nostro programma, “Environmental Issues”, si sia svolto a Eugene. Il tema di cui ci siamo occupati è stato infatti la difesa dell’ambiente, e la sensibilizzazione a riguardo, in Oregon, è particolarmente alta. Si tratta di uno stato ricco di straordinarie bellezze naturali, che i suoi abitanti rispettano quasi religiosamente. Ognuno di loro ama i propri monti, le proprie cascate e le proprie foreste: dopo averne esplorate un po’ posso dire di avere capito il perché!

Raccontaci com’è andata.

Lo dico dal profondo del cuore e con la massima sincerità: l’esperienza è stata meravigliosa da ogni punto di vista!

Accademicamente ha allargato la mia conoscenza sul tema della crisi ambientale. Ho apprezzato molto l’approccio “a trecentosessanta gradi” del programma: si è parlato di energia, di agroecologia, biodiversità terrestre e marina, sviluppo urbano sostenibile e molto altro.

Quanto al lato umano, non so da dove iniziare. Tutte, davvero tutte, le persone che ho avuto la fortuna di conoscere si sono rivelate individui straordinari. A cominciare da Laura e Federica, della commissione Fulbright, passando per Sandra, Becki e Karyn, le organizzatrici “in loco” del programma, per arrivare agli student ambassadors, alunni dell’Università dell’Oregon che ci hanno accompagnato nelle nostre avventure dispersi tra la natura americana. Una menzione a parte la faccio per gli altri partecipanti del programma: in cinque settimane ho stretto alcune delle amicizie più strette della mia vita. Darmi la possibilità di incontrare miei coetanei così interessati, curiosi, sensibili e intraprendenti è stato forse il dono più grande di questo viaggio.Non posso, in ogni caso, non citare il viaggio di tre giorni sulla costa oceanica. Abbiamo campeggiato due notti in una baia nascosta da scogliere alte decine di metri, godendo di alcuni dei migliori paesaggi che avessimo mai visto. Al di là di esplorazioni e bagni nell’oceano, abbiamo studiato l’ecosistema della costa nordoccidentale degli Stati Uniti ed aiutato a preservarlo rimuovendo da ampie aree sabbiose alcune specie invasive.

Come descriveresti una giornata “tipo”?

Il programma è stato talmente vario che non si può dire ci fosse una giornata tipo. A volte avevamo lezioni frontali in classe, durante le quali studiavamo alcuni dei temi più caldi nella lotta per l’ambiente negli USA. Spesso inoltre venivano a trovarci membri di associazioni ambientaliste che descrivevano l’operato della propria organizzazione: è stata questa una grande opportunità per scoprire nuove vie per fare attivismo ambientalista anche in Italia.

Numerose almeno quanto le lezioni frontali erano le uscite sul campo: abbiamo visitato impianti di cogenerazione, mercatini di seconda mano, segherie ecosostenibili e centri di studio delle maree, per fare alcuni esempi. Abbiamo perfino incontrato un senatore statale e assistito ad un comizio di Ron Wyden, uno dei due senatori federali dell’Oregon.

Spesso le attività della giornata finivano entro e cinque del pomeriggio, in modo da lasciarci il tempo di visitare Eugene, farsi un giro in bici oppure recarsi nella gigantesca palestra che l’Università mette a disposizione.

Come è cambiata la tua conoscenza della cultura americana?

La prima settimana del programma siamo stati divisi in gruppi e ad ogni gruppo è stato affidato un “tema caldo” che divide l’opinione pubblica statunitense. Il nostro compito era intervistare un certo numero di passanti per strada ed esporre i risultati del sondaggio al resto della classe. L’attività ci ha permesso di capire davvero cosa pensino gli americani in materia, ad esempio, di riscaldamento globale, possesso di armi, assistenza sociale e religione. L’impressione che personalmente ne ho ricavato è quella di un Paese la cui enorme eterogeneità e ricchezza di differenze rischia a volte di causare tensione. Ciò è stato confermato anche dai viaggi a New Orleans e Washington DC, che si sono dimostrate realtà completamente diverse da Eugene.

Al di là dei problemi connessi alla complessità del Paese (che però è anche uno dei suoi grandi punti di forza!), un particolare mi ha molto colpito: ogni cittadino, indipendentemente dalla propria appartenenza etnica o politica, si batte per le proprie idee. L’attivismo non è di nicchia, è lo standard! E anche il volontariato, soprattutto di carattere sociale, è una parte importante della vita della grande maggioranza delle persone. Non si tratta di idealismo, ma di reale volontà di cambiare le cose: per questo il popolo americano si è guadagnato il mio profondo rispetto.