Intervista a Lorenzo Ranocchiari, vincitore SUSI 2019

Lorenzo Ranocchiari, vincitore del Programma SUSI 2019 (Study of the U.S. Institute for European Student Leaders) in Youth, Education and Closing the Skill Gap (nel 2020 rinominato come Education and Future of Work) offre la sua sentita testimonianza sulle cinque settimane passate nella città di Boston, presso la University of Massachusetts. Siamo sicuri che il resoconto di Lorenzo, così ben scritto e coinvolgente, è un incitamento a partecipare al prossimo bando per vivere un’esperienza così straordinaria. Complimenti Lorenzo e in bocca al lupo per i tuoi futuri progetti!

Se oggi dovessi guardare indietro al lungo percorso che mi ha condotto fin qui, rimarrei meravigliato e ad un tempo incredulo per ciò che è accaduto alla mia vita. Tutto è cominciato in un freddo giorno di gennaio, quando ho inoltrato la mia domanda di partecipazione per il programma SUSI alla Commissione Fulbright per gli Scambi Culturali tra l’Italia e gli Stati Uniti.

È stato necessario qualche mese – ad esser sincero avevo un po’ perso la speranza – ma in fine il 10 aprile una notifica dell’app di Posta del mio telefono ha dato una svolta al corso degli eventi di quella primavera.

Mi era stato così comunicato di prepararmi perché quell’estate ventura sarei dovuto partire alla volta di Boston, Massachusetts: il Dipartimento di Stato aveva confermato me come studente dall’Italia per prender parte al programma in Youth, Education and Closing the Skill Gap. Meno di tre mesi passarono ed ero già seduto su una poltroncina di un gate dell’aeroporto di Roma Fiumicino, pronto per traversare la distesa blu che separa il vecchio dal nuovo continente.

Era il 6 luglio. All’arrivo ad accogliermi c’era una fitta pioggia che rallentò l’atterraggio ed il ritiro dei bagagli.

Già la prima sera trascorsa in territorio americano fu l’occasione per conoscere tutti gli altri partecipanti nel programma. Venti ragazze e ragazzi provenienti da diciassette paesi d’Europa e del mondo. Con nomi e nazionalità che s’incrociavano nella mia testa, quella sera mi distesi per la prima volta su quel letto della mia stanza all’ottavo piano del dormitorio universitario e così la vista dello skyline bostoniano, di quei palazzi fatti di luce, mi si aprì dinnanzi.

Per quattro settimane ho avuto così la fortuna di chiudere gli occhi alla sera e riaprirli al mattino avendo di fronte le sagome di quelle torri che hanno costituito la cornice della mia avventura americana. Nei giorni che seguirono l’avventura, da individuale, divenne collettiva. Ad esser sincero ancora mi sorprende come sia stato possibile che nel tempo così ristretto di qualche settimana siano sorti tra noi studenti partecipanti al programma dei legami così forti. Eppure, così è stato. Una delle cose – tra le altre – che ha veramente conferito significato al mio viaggio è stata proprio questa. La possibilità di conoscere altri diciannove ragazzi, miei coetanei, ognuno con la sua storia, il suo passato, le sue passioni, le sue paure, le sue ambizioni, le sue conoscenze e poterci condividere un’esperienza del genere.

L’interscambio di idee, di visioni, di progetti, favorito da come il programma era stato progettato, lasciando ampi spazi alla discussione e al confronto a margine delle lezioni ed integrando la nostra esperienza con attività conviviali, ha garantito la contaminazione culturale più completa. Eravamo tutti diversi, unici nella nostra individualità, marcata ancor di più dalla differente provenienza culturale, ma tutti accomunati dall’essere usciti dalla nostra comfort zone e dunque aperti al dialogo e allo scambio. Interagendo gli uni con gli altri, le connessioni tra di noi si son fatte sempre più profonde ed oggi, a poco più di un mese di distanza da quando ci siamo conosciuti, sono felice di poterli chiamare amici.

Il programma entrò quindi nel vivo già dalla prima settimana con le lezioni dei i nostri Mentor e le attività pomeridiane quali visite in altre università, nelle imprese, Workshop, incontri con professionisti del mondo dell’educazione o attività di volontariato. Ad accompagnarci erano i nostri “ambasciatori culturali” che hanno rappresentato una vera e propria pietra miliare del nostro programma.

Sono estremamente grato per aver avuto Mena e Tak al nostro fianco in questa avventura: hanno saputo, fin dal primo momento, farsi carico delle responsabilità di cui erano investiti con professionalità e gentilezza. Sono stati sempre aperti e disponibili per ogni nostra necessità, valicando i confini dei loro compiti per rendere la nostra esperienza ancor più unica.

Gli ingredienti che ho elencato qui sopra hanno fatto sì che nelle quattro settimane passate a Boston, la capitale del New England, abbia avuto la possibilità di venire a conoscenza con la cultura e la società americana. Questo sì che è stato il maggior valore aggiunto di questo programma: grazie al mix offerto dai corsi dell’Istituto che ho frequentato e le attività alle quali eravamo sottoposti, ho potuto toccare con mano l’anima degli Stati Uniti. Certo, avevo letto e studiato la storia del paese, avevo un’idea di come le cose potessero funzionare lì prima di partire ma ora posso dire con certezza che solo vivendo un luogo e una cultura si possono toccare i nervi vivi di quella società.

Ho compreso la ricchezza etnica e la complessità che marcano gli Stati Uniti con le sue opportunità e le sue meraviglie ma anche con le sue debolezze e le sue problematiche.

È stata per me rapida l’immersione nella vibrante vitalità bostoniana, una città che definirei aperta e gentile, legata a doppio filo con la storia, la cultura e l’economia del paese. Dopo una settimana e mezza – quando avevo finalmente capito di non star vivendo un sogno – mi ritrovai ad essere abituato allo stile di vita statunitense e bostoniano.

I giorni passarono e quattro settimane, così, erano volate.

La quinta settimana del nostro programma iniziò con un aereo che ci aspettava per condurci a Boca Raton, Florida, dove abbiamo passato quattro giorni ospiti della Florida Atlantic University. Lì abbiamo nuovamente avuto la possibilità di comprendere quanta diversità esista in un paese come gli Stati Uniti e sperimentare nuove occasioni di apprendimento e confronto fornite dalle attività intraprese.

A conclusione della nostra avventura, abbiamo passato gli ultimi tre giorni a Washington, D.C. dove, sotto l’egida del Dipartimento di Stato, abbiamo partecipato alla conferenza finale del nostro programma. È stata anche quella preziosa occasione di approfondimento del nostro campo di studio e possibilità di venire a contatto con gli studenti degli altri Istituti. Il termine alla nostra esperienza è dunque stato posto in una tra le migliori cornici che potessero esserci: la capitale. Washington mi ha rapito con la sua bellezza. Ho scoperto un luogo dove l’anima del paese trova la sua massima espressione nelle più alte istituzioni federali incasellate in un assetto architettonico all’europea.

36 giorni erano passati da quel sabato pomeriggio nel quale la mia avvenuta aveva avuto inizio. Il sipario si stava chiudendo, l’ultimo giorno negli Stati Uniti era arrivato. Era il 10 agosto. È stata una mattinata difficile, con la sveglia alle sei e trenta per finire di preparare le valige e la colazione in un negozio di bagel vicino all’hotel, il resto delle ore sono passate tra saluti, abbracci e qualche lacrima. Un autobus diretto all’aeroporto di Washington Dulles metteva la parola fine a una parentesi di vita che rimarrà indelebilmente scolpita nel mio cuore.

Se dunque oggi dovessi guardare indietro al lungo percorso che mi ha condotto fin qui, direi che la scelta di compiere questa avventura ha significato decidere di prendere una svolta nella strada della vita e percorrere un sentiero che definirà per sempre il mio cammino. Ha significato decidere di aprirmi al mondo, conoscere una diversa realtà ed intraprendere una ricerca che ha arricchito il mio bagaglio di strumenti per comprendere ciò che mi circonda ed avere un impatto su di esso. È stata un’avventura straordinaria.