Intervista ad Amantha Aluth – Vincitrice SUSI 2016

Amantha Aluth, studentessa di Biologia all’Università degli Studi di Napoli Federico II, è stata una delle vincitrici dell’edizione 2016 del programma SUSI, finanziato dal Dipartimento di Stato statunitense. Questa estate Amantha ha trascorso 5 settimane University of Oregon in Eugene, OR, occupandosi di Environmental Issues, con corsi, conferenze, attività sul campo, visite a parchi naturali e molto altro ancora.

Le abbiamo chiesto di raccontarci la sua esperienza:

Amantha allora com’è andata?
L’esperienza in cui ho avuto il privilegio di partecipare è stata incredibile! Ringrazio ancora la commissione Fulbright per avermi scelto dandomi così l’opportunità di poter conoscere un mondo diverso dal mio.

Quali attività ricordi con più piacere?
È abbastanza dura sceglierne solo alcune poiché ogni giornata aveva in sé qualcosa di formativo e interessante ma ricordo nitidamente una delle prime sfide che abbiamo vissuto durante la prima settimana di soggiorno a Eugene, Oregon. Ci siamo spostati in un parco vicino il campus, Spencer Butte, dove abbiamo svolto un percorso composto da varie sezioni, tutte – apparentemente – basate sulla resistenza fisica e mentale. Alcune di queste sfide comportavano l’arrampicata su funi e corde montate sui maestosi alberi del bosco, sfide in cui sembrava che il proprio ego fosse la parte su cui lavorare per rimanere concentrati e coraggiosi; tuttavia è proprio questo il punto sui cui mi sono ricreduta maggiormente! Tutto il percorso è stato un continuo passo verso l’edificazione di un solo fondamento senza il quale nessuna delle sfide avrebbe avuto senso o realizzazione, il team. Grazie a quest’esperienza, mi sono resa conto di come il lavoro personale sia sempre solo parte di un qualcosa di più grande, qualcosa che però va solidificato mediante comunicazione efficace e fiducia nei propri colleghi.

Gli stessi colleghi sono diventati amici carissimi con cui ho condiviso ricordi speciali creati soprattutto durante le varie gite che abbiamo fatto, spaziando dall’Oregon al Colorado, per poi arrivare infine a Washington D.C. . I vari spostamenti mi hanno fornito un quadro più ampio e chiaro della diversità ambientale del panorama americano, reso ancora più completo dalle informazioni dei vari speaker che ci hanno accompagnato nelle varie tappe. Tuttavia, la vera scoperta è stata la meraviglia provata durante ogni escursione, dove è stato impossibile non fermarsi per ammirare la vista e fare qualche foto!

Come descriveresti una giornata “tipo”?
Le giornate standard in campus iniziavano con una ricca colazione nella mensa dove, oltre al gruppo SUSI, erano presenti tantissimi giovani provenienti da diversi stati degli States venuti per le più diverse attività. Infatti, durante il mio soggiorno, il campus ha ospitato gli Olimpic Trials sponsorizzati dalla Nike – in cui hanno partecipato tantissimi atleti di ogni età – e altri eventi come gare fra cori. Dopo la colazione ci aspettavano le lezioni in classe in cui la prima ora scorreva dibattendo del topic del giorno, approfondito in seguito dagli speaker che ci avrebbero fornito la loro personale esperienza. I pomeriggi differivano molto a seconda del giorno, talvolta dopo il termine delle lezioni ci trovavamo a campeggiare nei luoghi di cui avevamo parlato in classe oppure impegnati in attività di volontariato in base alle nostre preferenze riguardo le necessità della comunità. Posso assicurare che non ci sono mai stati momenti morti o di indecisione, le giornate sono state intense e tutte memorabili per qualche ragione!

Come è cambiata la tua conoscenza della cultura americana?
Prima della mia partenza le mie idee riguardo la cultura americana erano soprattutto basate sui media – programmi televisivi, film, internet – e nei primi giorni di soggiorno pensavo di stare esattamente in uno di quegli ambienti che tanto avevo visto e immaginato. Devo ammettere che prima della mia partenza ero un po’ scettica sulla veridicità del sogno americano e di quel senso di patriottismo tanto noto. Senz’altro è un paese vastissimo di cui ho potuto scorgere solo determinati tratti, ma le persone che ho incontrato si sono sempre mostrate estremamente gentili e aperte al dialogo. Ho apprezzato moltissimo l’indole americana, il modo di fare e di esprimersi. Per esempio, ricordo bene come nei negozi o in altri luoghi di lavoro – dove si è soliti pensare di essere di fretta o molto impegnati – spesso mi trovata in torto a causa dei miei preconcetti perché ho trovato sempre personale accogliente e aperto al dialogo, che oltre a una chiacchiera mi ha dedicato del tempo!

Dal punto di vista accademico sono rimasta impressionata dalla libertà di scelta degli studenti, tutti entusiasti del proprio percorso basato sull’unicità di espressione. È soprattutto questo il fattore che più mi è rimasto impresso, ho apprezzato la sincerità delle scelte degli studenti che erano chiaramente non indirizzate dai cliché implicitamente imposti da scuole, famiglie o dalle esigenze del mercato bensì dai propri interessi, creando ognuno un curriculum del tutto unico. Sarebbe bello se questa apertura divenisse virale!

Il tema di quest’anno per International Education Week è “Empowering Youth Through International Education”; in cosa la tua esperienza ti ha “empowered”, se credi lo abbia fatto?
L’esperienza di cui sono stata testimone e partecipe è stata stimolante sotto molteplici punti di vista: è stato un input a migliorarmi, a incrementare le mie capacità, e ciò è dovuto soprattutto all’ambiente che mi circondava. Trovarsi in un paese come l’America ed essere circondata da ragazzi brillanti provenienti da altri paesi europei è stato un richiamo costante per fare sempre del mio meglio come persona, ma soprattutto come parte di un gruppo. Ogni esperienza, ogni speaker conosciuto, ogni progetto che abbiamo portato a termine mi hanno portato verso una conoscenza migliore del mondo e anche di me. Esperienze come queste dovrebbero essere essenziali nella sfera di attività di qualsiasi studente, affinché possano essere protagonisti non solo della propria comfort zone ma anche dell’ignoto che si erge al di fuori di essa.

Conti di ritornare in America per studio?
Sarebbe senz’altro interessante poter immergermi nuovamente nella vita frenetica dello studente del campus, continuando così i miei studi in inglese. Grazie alle conoscenze di cui questo viaggio mi ha arricchito sono molto tentata dal ritornare in America, chissà in un futuro potrei avere la possibilità di collaborare con chi ho conosciuto quest’estate.